6/1992
PSICOTERAPIE E VISIONI DEL MONDO

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INTRODUZIONE Paolo Francesco Pieri, “Psicoterapie e ‘visioni del mondo’”/Mario Trevi, “Indagine ingenua sulla natura della psicoterapia”/Umberto Galimberti, “Filosofia e psicoterapia”/Mario Francioni, “L’atteggiamento filosofico fondamentale delle psicoterapie”/Eugenio Borgna, “La psicoterapia delle psicosi e le sue premesse filosofiche”/Carlo Sini, “La verità di rango superiore. Considerazioni sui Seminari di Zollikon”/Pier Aldo Rovatti, “Il giro della parola. Da Heidegger a Lacan”/Umberto Soncini, “Fenomenologia e psicologia”/Mauro La Forgia, “Il rapporto Freud-Mach: una prima ricognizione”/Giorgio Concato, “Gadamer, Jung e Bateson. Il colloquio psicoterapeutico in forma di dialogo”/Paolo Francesco Pieri, “Segno, simbolo e conoscenza. Per un’epistemologia critica nel pensiero di Jung”/Sergio Vitale, “Il sentimento della ricorsività. Sulla possibilità del cambiamento attraverso la filosofia e la psicoterapia”

 

Al di là del fenomeno della curiosità, c’è da registrare un vero e proprio interesse della filosofia verso la psicoterapia.

Lo sguardo sollecito della prima è spesso rivolto alla seconda non tanto come fenomeno sociale. La psicoterapia sembra infatti sedurre i filosofi di oggi in quanto evoca il costituirsi di un luogo dove, attraverso il medium del linguaggio, si producono pratiche che promettono e permettono trasformazioni sostanziali sia dei pensieri sia dei comportamenti umani.

Tali luoghi e momenti psicoterapeutici, già per il loro proliferare in innumerevoli scuole, si offrono a riflessioni filosofiche di varia natura.

Ma c’è ancora un non-sapere che ha bisogno di essere pensato. Esso riguarda il loro essere – da quello più elitario dell’analisi, a quello più quotidiano dell’essere insieme di due individui – l’accadimento di un incontro personale in situazione di crisi: accadimento che – a sua volta – ha dato luogo a un’interattività trasformatrice che suol dirsi “guarigione”.

C’è il guarire e c’è il pensare: il primo è compito dello psicoterapeuta, il secondo è compito del filosofo. Ma, detto questo, c’è da domandarsi: forse lo psicoterapeuta non pensa? forse il filosofo non cura?

In entrambe le pratiche la parola è un medium, e un medium non neutrale. Prima ancora dello psicoterapeuta sappiamo che è stato il filosofo a sapere della terapeuticità della parola.

Però ciò che il filosofo non conosce è il dolore; benché egli sappia che ogni filosofia deriva da questo.

Se è possibile “ritornare” a questo luogo “originario”, c’è da chiedersi se ogni verità filosofica e ogni sapere “della” psicoterapia daranno finalmente luogo al ‘‘filosofo medico” prefigurato da Nietzsche e alla conciliazione con quel dolore da cui la parola è nata.

È vero, non c’è psichiatria in generale senza una visione del mondo che la tematizzi. Ancora attuali e promettenti applicazioni cliniche (psicoterapeutiche

e socioterapeutiche) e le loro fondazioni teoriche appaiono influenzate e, a un tempo, aperte dal pensiero di uomini come Heidegger e Binswanger, Husserl e Jaspers, Bergson e Scheler. E, come sappiamo, l’intreccio tra filosofia e psicoterapia non è solo questione di questo secolo; anche autori come Griesinger e Kraepelin sono stati condizionati da Weltanschauungen filosofiche.

E cosa dire poi della psicoterapia delle psicosi? La psicosi, in quanto ciò che reca più “scandalo” alla psichiatria o ciò che si configura spesso come una “sfinge”, ha trovato una tematizzazione nuova proprio attraverso quel pensiero filosofico di quest’ultimo secolo che ha saputo mettere in luce la radicalità epistemologica di espressioni come “essere-nel-mondo”, “essere-con-gli altri”, “essere-per-gli altri”. Infatti da qui si sono originati i modelli psicoterapeutici di Binswanger e Mauz, Boss, von Gebsattel e Storch. Tali modelli, divenendo anche strategie terapeutiche oltre ogni rigida articolazione tecnica, hanno potuto confrontarsi veramente con l’angoscia psicotica. Ciò è avvenuto sino al punto che un’entità, astratta come la psiche o concreta come lo stesso farmaco, ha potuto diventare metafora ed evento comunicativo nel corso della terapia. Il relativizzarsi di quest’entità ha prodotto l’immagine di una radicale comunicazione interpersonale che, ricordiamo, cresce però sullo sfondo di psicoterapie banalizzate in semplici e improblematiche routines.

Resta sempre da sottolineare che la rilevanza del rapporto filosofia-psicoterapia non sussiste per il semplice fatto che alcuni psicoterapeuti inseriscano principi filosofici nei loro schemi terapeutici ed interpretativi.

Rilevante è invece il ruolo che i concetti filosofici svolgono nelle varie prassi effettive dei singoli psicoterapeuti, e ciò specialmente se quest’azione accade a loro insaputa.

Ancora di più, è possibile azzardare l’ipotesi di un radicale orientamento anticipatorio di tutte le prassi terapeutiche? e più in particolare, è evidenziabile – e se sì come – un ‘‘atteggiamento filosofico fondamentale, formalmente positivizzante’’?

L’essenzialità del rapporto filosofia e psicoterapia, e del rapporto tra le varie psicoterapie sembra talora ricercabile in un positivizzare il fenomeno del negativo: c’è campo terapeutico proprio laddove emerge un ‘‘atteggiamento positivo fondamentale”, soprattutto di fronte a quegli aspetti dell’esistenza umana che si sono creati come negativi.

Paolo Francesco Pieri

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