Estetica dell’analisi

di Sergio Vitale
«atque», 2, 1990, pp. 61-78

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In breve, è bene

pensare anche affabulando 

E. Bloch

Sentimenti nell’analisi 

C’è una concezione assai diffusa della psicoanalisi, suffragata da una certa lettura dell’opera freudiana, secondo la quale l’esperienza dell’ analisi appartiene al dominio della ricerca oggettiva della verità, esercitata attraverso un uso della parola, che -non volendosi presentare in alcun modo collusiva con quella nevrotica -ambisce ad essere definita scientifica. Sarebbe, in questa prospettiva, la psicoanalisi un sapere che si ri ferisce ad una realtà storicamente determinata, su cui è possibile dire delle cose che sono assolutamente e incondizionatamente vere o false, e in cui l’idea di verità, riesce, per così dire, a farsi strada e ad affermarsi, nono stante il coinvolgimento emotivo e le varie difese del soggetto che si oppongono al suo riconoscimento.

Non c’è dubbio che diverse pagine di Freud abbiano potuto autorizzare una simile visione. Si potrebbe richiamare al proposito – solo per portare un esempio – la metafora dell’archeologia, così ricorrente nei testi freudiani, sulla cui scorta si è modellata, in buona parte, quella concezione della psicoanalisi che R. Schafer definisce positivista, in base alla quale l’analista, opportunamente attrezzato di «zappe, pale e vanghe» , arriva a scoprire fatti che esistono in quanto tali indipendentemente dalle sue scelte teoriche e metodologiche e, a maggior ragione, dai suoi senti menti e desideri.

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