La quarta casella

di Carlo Sini
«atque», 3, 1991, pp. 11-22

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C’è il delirio; c’è la conoscenza; e c’è la conoscenza del delirio. È tutto? non c’è altro? Manca qualcosa. Una casella è rimasta vuota. Sta lì sotto gli occhi, nella più palese evidenza, ma – strano – non ci si fa caso, nessuno ci bada e, nessuno ne parla: manca il delirio della conoscenza. E di questa casella dimenticata e, per così dire, rimossa che vorrei occuparmi qui.

A che gioverà questo proposito? Al delirio, alla conoscenza, al loro rapporto, o a un’altra cosa ancora? Ma si dovrebbe allora domandare: giova poi assumere sin dall’inizio la prospettiva di questo mondo? La prospettiva non ha già deciso troppo e non è ma gari proprio a essa che risale quell’oblio dal quale siamo partiti? Sospendiamo dunque ogni domanda per concentrarci su quest’unica: che può voler dire “delirio della conoscenza?” A che allude l’espressione che completa la combinatoria formale dei quattro termini in gioco, disponendoli in questo modo nella quarta casella, solitamente trascurata?

Delirio e conoscenza sono ovviamente cose di verse. Anzitutto perché delirare non è propriamente conoscere, anche se il delirante fa certamente esperienza di qualcosa.

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