Delirio e esperienza simbolica

di Carlo Tullio-Altan
«atque», 3, 1991, pp. 23-32

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Una frase che compare nel saggio: “Delirio, scacco gnoseologico, limiti della comprensibilità” di A. BALLERINI E M. ROSSI-MONTI, pubbli cato nel n° 1di Atque, del maggio ’90, mi ha indotto ad alcune riflessioni che potrebbero forse essere utilizzate anche in campo psicologico e psichiatrico, oltre a quello antropologico, nel quale mi colloco. La frase è la seguentè: “Il mondo che affiora nei contenuti del delirio, e che è rappresentativo del delirio in generale, e del suo declinarsi in maniera personale e irripetibile, è responsabile della distanza in cui si collocano le varie forme di delirio rispetto all’osservatore, forse più ancora di quanto siano le strutture modali del delirare” (pag. 66).

A mio avviso infatti questo “mondo” è propriamente quello dell’esperienza simbolica e, la conoscenza della cui specificità, che ha un rilievo decisivo in antropologia, in tema di ermeneutica dei miti, potrebbe essere di qualche interesse anche riguardo a quello del delirio. Per cui, molto in breve ed in forma sintetica, data l’economia di questo contributo, vorrei esporre qui i risultati ai quali sono pervenuto a questo proposito.

La mia proposta è la seguente: ho scelto, come punto di partenza del discorso sulla specificità dell’esperienza simbolica, l’atto di conferi mento di senso, punto di partenza che mi sembra il meno improprio per giungere ad una accettabile definizione dell’esperire umano, nella sua complessità; atto di conferimento di senso inteso come atto vitale e produttivo di risultati concreti, e non come astratto esercizio intellettuale fine a se stesso.

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