Lo spazio della filosofia

di Salvatore Natoli
«atque», 3, 1991, pp. 125-142

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Discutere di RORTY all’intersezione di pragmatismo ed ermeneutica, significa assumerlo prioritariamente come emblema, vale a dire come il punto in cui vengono a confluire due modalità fondamentali della dissoluzione della scientificità della filosofia o più propriamente della filosofia intesa come scienza. Ecco, se c’è un interesse singolare in questo personaggio, è proprio dato da questa confluenza. Due grandi traiettorie con due diverse provenienze ambientali e di tradizioni che vengono, meno paradossalmente di quanto non si pensi, a confluire in un punto: la dissoluzione della filosofia come scienza. Allora, se così è, discorrere di RORTY diventa un’occasione aurea per parlare del senso della filosofia, perché proprio della filosofia ne va in questo bilancio. Una volta detto questo, si può ritenere che RORTY sia un pretesto utile per discutere della dissoluzione della filosofia come scienza, anche per una ragione che nel corso del nostro ragionamento emergerà sempre più chiaramente: RORTY è molto più significativo per la tradizione che mette in liquidazione di quanto non lo sia per l’apertura di nuovi orizzonti riguardanti il senso della filosofia. E più interessante per l’aspetto di rottura polemico provocatorio che ha soprattutto nel suo ambiente di provenienza, vale a dire nella tradizione filosofica americana, di quanto non lo sia per la produzione di nuovi effettivi campi di orientamento. E qui uso in un modo ben ponderato parole come “orizzonte”, parole come “orientamento”: infatti, almeno di una cosa RORTY ci ha avvertiti: la rottura non bisogna pensarla in termini di sostituzione di centralità. Se la rottura rispetto alla tradizione filosofica la si pensa in termini di sostituzione di centralità, ancora una volta si torna nello schema tradizionale della filosofia.

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