Lettura razionale dell’oggetto e tenacia dei linguaggi consolidati

di Paolo Galli
«atque», 4, 1991, pp. 191-196

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Questa indagine può apparire contorta perché cerca di porre il pensare lo spazio architettonico come una questione non predeterminata dalla rappresentazione. Poche cose sono conosciute, ciò che è conosciuto lo è approssimativamente, ciò che è possèduto lo è precariamente.

Sembra che il costruire dell’architetto possa rappresentare una metafora della conoscenza.

L’uso metaforico della parola spazio conduce facilmente da realtà fisiche a realtà mentali. Da un lato iltempo nel ricordo si comprime nei mille alveoli dello spazio, dall’altro lato il tempo è evocato nelle immagini spaziali immaginando di percorrerle o di percepirle in successione. E solo per semplicità che parlando di una qualunque sorta di spazio la separiamo dalle altre. Continuamente le une e le altre tendono a confluire in una certa organizzazione globale. Tutto il reale si adatta ad infinite conseguenze. Dalla maniera in cui l’uomo si definisce in rapporto a quel lo che conosce si determinano tutte le qualità dello spazio. In quello che può conoscere l’uomo distingue il proprio corpo, la propria anima e tutto il resto che non appare mai come un quadro omogeneo di forme e di significati. Non sapere che cosa collega da una parte lo spazio in sé e dall’altra quello che è per il soggetto non è sufficiente per affermare che lo spazio qualunque cosa sia non esiste se non nella maniera in cui lo occupo e lo percepisco con i sensi. Occorre guardare a tutto in maniera nuova con un atto difficile di superamento delle conoscenze acquisite.

Guardare in questo modo è come ascoltare e conferire un ordine alle cose ascoltate. Ora ci si interroga sul dove e sul come, cercando di de finire le condizioni stesse delle possibilità di questo tipo di esperienza. Per questo non è necessaria una lunga ricerca, è sufficiente l’intui zione repentina di una realtà sconosciuta e nondimeno familiare.

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