L’alterità come soglia critica

di Fabrizio Desideri
«atque», 7, 1993, pp. 65-80

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Sempre, ogni tentativo di pensiero e ogni più o meno misera messa in scena delle virtù riflessive del nostro discorrere, conoscono l’indecisione del provare a dire, la perplessità dell’inizio. E forse perplessità, indugio, moltiplicarsi del dubbio sono già figure iniziali dell’esercizio filosofico del pensiero. Figure che indicano come una qualche distanza si sia già guadagnata rispetto all’ovvio nel quale perlopiù viviamo e ci muoviamo; come già si cerchi di assumere un «altro» sguardo all’interno della nostra sfera abitualmente percettiva; come nella nostra mente si ‘finga’ un «altro» mondo. Se tutto ciò è probabile, certo è invece che perplessità, indugio, una indecisa e multipla dubbiosità raggiungono una misura quasi paralizzante quando il tema che ci proponiamo è quello dell'”Altro”. Tanto più se lo si intende preli minarmente ad ogni specificazione (l’Altro rispetto alla conoscenza, l’Altro nella percezione, l’Altro etico…) e, dunque, nel suo carattere ‘platonico’ di “grande genere”, di meta-categoria che fa da cardine a tutte le sue declinazioni discorsive, a tutti i suoi “usi” categoriali. Così intesa, la questione dell’Altro è questione inaggirabile, appunto per la sua virtù di provocare (nel senso letterale del termine) il lavoro filosofico nella sua interezza. In questo senso, tale questione è molto più radicale della questione del fondamento ed anzi è molto più di quello che la metafora della radice possa significare. Con l’Altro le potenzialità metaforiche dei termini attorno a cui si costituisce la tra dizione filosofica astraendoli dal loro contesto iniziale (termini come categoria, come sostanza, come fondamento …) sembrano quasi estinguersi. Nell’ «Altro» la metaforicità della parola è spinta al suo limite, porta per così dire al di fuori di Sé.

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