Le tue opere ti avvicineranno agli uomini;
le tue opere te li estranieranno.
Talmud Babilonese, Edujot 85
L’ente che noi stessi siamo è
ontologicamente il più lontano.
M. Heidegger
Tra l’io e la distanza è posta un’antica inimicizia, quando non sia invece una complicità profonda. Per un verso fuggiamo la distanza, per un altro ricorriamo ad essa per dare corpo alla nostra identità e alla nostra conoscenza. Sotto molti aspetti, l’esperienza sembra racchiusa entro questi limiti: la ferita della separazione che originaria mente si produce, e che si esprime nel pianto di chi nasce ; e la consolazione che si prova nel sentirsi al riparo da quanto ci minaccia, e che, se posto in lontananza, non potrà toccarci.
Quella ferita è poi destinata a rinnovarsi ogni volta che uno spazio s’apre, come divisione, tra noi e qualcosa o qualcun altro; e nel dolore si rinnova il desiderio di annullare la distanza, di risalire a ri troso la corrente sino al punto che ci vedeva uniti. Il desiderio ha nome nostalgia , e reca in sé il “dolore del ritorno” ad un luogo, un volto segnati sulla carta, spazialmente definiti come lo fu Itaca per Ulisse.