Distanze

di Sergio Vitale
«atque», 7, 1993, pp. 95-106

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Le tue opere ti avvicineranno agli uomini;

le tue opere te li estranieranno.

Talmud Babilonese, Edujot 85

 

L’ente che noi stessi siamo è

ontologicamente il più lontano.

M. Heidegger

 

Tra l’io e la distanza è posta un’antica inimicizia, quando non sia invece una complicità profonda. Per un verso fuggiamo la distanza, per un altro ricorriamo ad essa per dare corpo alla nostra identità e alla nostra conoscenza. Sotto molti aspetti, l’esperienza sembra racchiusa entro questi limiti: la ferita della separazione che originaria mente si produce, e che si esprime nel pianto di chi nasce ; e la con­solazione che si prova nel sentirsi al riparo da quanto ci minaccia, e che, se posto in lontananza, non potrà toccarci.

Quella ferita è poi destinata a rinnovarsi ogni volta che uno spazio s’apre, come divisione, tra noi e qualcosa o qualcun altro; e nel dolore si rinnova il desiderio di annullare la distanza, di risalire a ri troso la corrente sino al punto che ci vedeva uniti. Il desiderio ha nome nostalgia , e reca in sé il “dolore del ritorno” ad un luogo, un volto segnati sulla carta, spazialmente definiti come lo fu Itaca per Ulisse.

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