Perversione e caduta dell’alterità

di Sandro Candreva
«atque», 7, 1993, pp. 123-132

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Dal punto di vista di chi ha a che fare quotidianamente con la psicopatologia, il fenomeno della pornografia testimonia pubblicamente di quale sia lo statuto dell’oggetto nel desiderio che si suole definire perverso.

Il punto di vista storico-sociale, per parte sua, svolge una funzione di riferimento indispensabile per collocare il fenomeno sullo sfondo di quel senso comune che alimenta terrestremente anche il più alato degli specialismi.

Si sa che speciali discorsi sulla psiche entrano tra loro in rotta di collisione guardando ai fenomeni di cui si occupano con l’occhio attratto ora più da strutture possibilmente universali e trans-storiche, ora invece dalle particolarità della vita di relazione che genera l’essere umano in quanto tale. Si tratta di una tensione che anima il pensiero occidentale fin dalla sua origine, e che una volta di più si fa sentire anche a proposito di ciò che è o non è perverso. 

Le perversioni non sono né bestialità né degenerazioni nel senso passionale della parola. Esse costituiscono lo sviluppo di germi, tutti contenuti nella di sposizione sessuale indifferenziata del bambino, la cui repressione o volgimento verso fini asessuali più alti -la “sublimazione” – è destinata a fornire le energie per grande parte dei nostri contributi alla civiltà .

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