P.K. Feyerabend: un ricordo e una riflessione

di Paolo Rossi
«atque», 10, 1994, pp. 27-40

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È sempre difficile stabilire se si ha un debito più profondo verso co loro che hanno scritto pagine con le quali ci si è immediatamente senti ti in sintonia oppure verso coloro che hanno scritto pagine capaci di sti molare la riflessione sostenendo tesi con le quali sembrava opportuno o addirittura necessario polemizzare. Con Feyerabend mi è capitata la seconda cosa. Nel 1974 si svolse a Capri un convegno i cui Atti vennero pubblicati a New York l’anno successivo’. Nella mia relazione, dedi­cata al tema dei rapporti fra la cosiddetta “tradizione ermetica” e la “rivoluzione scientifica”2 prendevo fortemente le distanze dalle tesi sostenute dai seguaci di Popper e, in particolare, da Feyerabend. Mi sembra va (e per la verità ancora mi sembra) che nelle loro discussioni i personaggi storici diventassero “simboli” di posizioni filosofiche definite a vriori. Bacone e Galilei servivano solo come “casi esemplari” per brillanti e raffinate esercitazioni epistemologiche, diventavano le maschere l’uno dell’induttivismo3 e l’altro dell’ipoteticismo. li ritratto galileiano di Feyerabend come scienziato che ignora sistematicamente le osserva zioni che contraddicono le teorie e che continua a lavorare sulle teorie anche quando l’evidenza conduce alla conclusione che la teoria è falsa mi sembrava «stimolante dal punto di vista teorico, ma certamente poco persuasivo dal punto di vista storico»4. Rifiutavo la tesi che riduceva gli storici al rango di “cacciatori di esempi” che gli epistemologi avrebbero poi dovuto utilizzare. Ritenevo infine che gli incomposti entusiasmi manifestati in Italia per l’interpretazione galileiana di Feyerabend fossero del tutto ingiustificati.

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