Il mito del mito. Confini problematici dell’epistemologia feyerabendiana

di Carlo Sini
«atque», 10, 1994, pp. 41-52

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Paul Feyerabend è stato il più geniale rappresentante della epistemologia contemporanea. La sua opera, che è ancora lungi dall’essere stata intesa e assimilata dal mondo degli scienziati e dei filosofi della scienza, ha svolto e svolge un’azione critica assai feconda. Il suo pensiero è pressoché l’unico, nell’ambito della riflessione epistemologica, a rivestire notevole interesse e rilevanza anche per il pensiero filosofico del nostro tempo; cosa che non si può dire, ad esempio, di Popper, le cui tesi hanno avuto certamente un gran peso per la storia dell’epistemologia, ma sono filosoficamente ingenue e primitive, ossia, contrariamente al clamore pubblico che da tempo se ne va facendo, del tutto irrilevanti. Queste premesse, che qui non verranno argomentate, sono lo sfondo a partire dal quale si giustificano le considerazioni che seguono, le qual i mirano a sollevare sinteticamente alcune domande problematiche concernenti il modo di pensare di Feyerabend. In particolare su tre punti che possono così indicarsi: 1. la concezione “democratica” della cultura; 2. il rapporto scienza-mito; 3. il presunto fondamento storico-antropologico delle ricostruzioni critiche feyerabendiane. Cominciamo dal terzo punto.

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