I presupposti dell’anarchismo epistemologico di Paul K. Feyerabend

di Silvano Tagliagambe
«atque», 10, 1994, pp. 53-76

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L’atteggiamento nei confronti di Paul K. Feyerabend di buona parte degli studiosi che se ne sono occupati e la valutazione della sua opera sono in larga misura influenzati e condizionati dal tono volutamente provocatorio e dallo stile irriverente dei suoi scritti. Oggi che questo pensatore critico e contestatore non è più tra noi è forse il caso di chiedersi che cosa ci sia “dietro la scena” del suo attacco contro il metodo e, in particolare, contro la filosofia della scienza e della sua polemica col razionalismo critico di Popper e con la metodologia della legge e dell’ordine di Lakatos. È quello che mi propongo di fare in questo scritto, che vuol essere un tentativo di chiarire le motivazioni dell’elogio della fantasia, dell’astuzia, della retorica, della comunicazione e del dialogo che ha avuto in questo anarchico epistemologico, in questo «agente segreto che gioca la partita della Ragione allo scopo di minare l’autorità della Ragione», come egli stesso si definisce, uno degli interpreti più originali e anticonformisti del nostro tempo. 

1. Dai sistemi chiusi ai sistemi aperti 

“Timore del caos”. Questo, secondo Feyerabend, è lo strumento del quale molti epistemologi si servono per far sorgere nel pubblico più il luminato il desiderio ardente di «regole semplici e semplici dogmi da poter seguire senza aver bisogno di riconsiderare tutto ogni volta». Ed ecco allora che la filosofia della scienza assume una funzione fonda­ mentalmente consolatoria: rassicurare i razionalisti dubbiosi e apprensivi e far aumentare il numero degli “Amici della ragione”.

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