Al limite del rappresentare: nota su immaginazione e coscienza

di Fabrizio Desideri
«atque», 12, 1995, pp. 135-153

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In conclusione al libro su L’Imaginairel Jean-Paul Sartre tematizza il rapporto tra coscienza e immaginazione con una radicalità che merita di essere interrogata oltre le implicazioni inerenti alla sua filosofia in generale (quale si disegna ne L’ etre et le néant) e alle sue ricerche precedenti, in particolare a quelle svolte nel saggio su L’imagination. Qui, si ricorderà, Sartre aveva difeso una concezione dinamicamente attiva dell’immagine: un suo carattere psichicamente sintetico che la identifica con “un certo tipo di coscienza”. Secondo tale identificazione l’immagine non si può risolvere né in una copia-segno di qualco sa né in una traccia mnestica di una percezione e ciò appunto in quanto si pone sempre come “coscienza di qualche cosa”, come una sintesi attiva di un mol teplice che la definisce piuttosto nei termini temporali di un “atto” che in quelli spaziali di una “cosa”. Nel libro del ’40 la separazione si radicalizza ulte riormente, fino a fare dell’immaginazione non soltanto un modo della coscienza – una delle declina zioni del suo carattere intenzionale -ma addirittura l’immanente condizione del suo costituirsi, anzi – in un crescendo di mosse identificative tra i due termini – “la coscienza tutta intera in quanto realizza la pro pria libertà”.

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