Intenzionalità psicoterapeutica

di Gaetano Benedetti
«atque», 13, 1996, pp. 31-50

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1. Da quando, con Sigmund Freud, lo psichiatra ha studiato l’ammalato psichico dal punto di vista del suo esperire, ossia da poco più di cento anni a questa parte, il compito classico dello psichiatra si è esteso al polo opposto di quello iniziale, che era anzitutto descrizione del comportamento abnorme nello sforzo di contrapporlo alla norma. Da Freud in poi, il discorso nell’incontro con il malato psichico non è altrimenti concepibile che entro una continua dialettica fra quello che il fenomeno psicopatologico significa per noi e quello che il paziente esperisce nella relazione con noi. Il capovolgimento operato da Freud è immediatamente visibile nel fatto che mentre da un canto attraverso la comprensione dell’esperire del malato si è avuta la psicologizzazione della malattia mentale e della sofferenza psicopatologica tutta (la quale viene recuperata nella concezione di eventi interiori, emotivi, affettivi, non essenzialmente, qualitativamente diversi dai nostri, ma scostantisi da questi in misura quantitativa), d’altro canto lo studio della “psicopatologia quotidiana” (Freud) e degli aspetti neurotici della personalità clinicamente sana (che talora in psichiatria si sottopone volontariamente ad analisi come paziente) ci ha fatto vi ceversa comprendere lo stato di salute umana come uno stato di “mancanza”.

Attraverso tale processo di pensiero la psichiatria, che da un canto trae dalla neurobiologia molte fra le sue nozioni più significative, si pone d’altro canto in contatto con l’uomo tutto e con quella filosofi.a della sofferenza esistenziale che da Pascal a Kierkegaard, a Nietzsche e a tanti altri è divenuta cosciente soprattutto all’uomo di oggi.

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