Intervista

di Dieter Henrich
«atque», 16, 1997, pp. 199-216

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Professor Henrich, è ampiamente diffusa ormai la definizione di “epoca postmetafisica”; a partire da siffatta descrizione della situazione epocale si ritiene plausibile chiarire quali motivi abbiano condotto alla forma­zione di un pensiero metafisico o postmetafisico, ma questo chiarimento non ha più il significato di riconoscere la peculiare pretesa della creazione metafisica. Anzi, tale prospettiva conduce ad una critica del tema metafisico e all’affermazione che un’esistenza matura dovrebbe farne a meno. Qualche volta Wittgenstein è chiamato come testimone di questa tendenza che considera la metafisica un palliativo e che decide di farne a meno. Rispetto a questa decisione della situazione speculativa come si colloca la Sua filosofia?

Innanzi tutto si dovrebbe dire qualcosa sulla metafisica: la parola ha grandissimo peso e le si collegano promesse, di fronte a cui è opportuno nutrir sospetti. Con metafisica io intendo un qualche cosa di diverso da quel che Nietzsche criticava: non la supposizione di un retromondo o di un sovramondo, diviso dal mondo visibile da un chort smos (una reale separazione) quale che sia. Si può arrivare a un pluralismo di mondi o alla convinzione dell’esistenza di un mondo intelligibile, ma ciò non dipende dal fatto che si abbia o meno una metafisica. Forse sarebbe meglio rinunciare alla parola, però essa è l’unica alla quale tutti collegano almeno una vaga rappresentazione di ciò su cui il discorso vuol vertere. Io stesso preferisco parlare di “pensieri ultimi”, nei quali una vita è riassunta una somma e nello stesso tempo è riferita alla totalità di ciò che è. Un tale pensiero mira sempre oltre rispetto a quanto ci è fatto conoscere dal senso comune o dal sapere scientifico; va dunque in cerca di qualcosa al di là ( metà) della fisica.

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