Disturbi della personalità e tragedia greca

di Françoise Frontisi Ducroux
«atque», 20-21, 1999, pp. 7-22

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Senza dubbio bisognerebbe cominciare definendo ciò che i Greci in tendevano per personalità, nozione culturale, il cui contenuto, per conseguenza, può variare.

Ci si limiterà qui a ricordare che sebbene le parole ‘persona’ e ‘personalità’ ci vengano dal latino persona, equivalgono al greco prosopon, che significa volto; la nozione di persona, come noi l’intendia mo, è pertanto prodotto dell’Antichità tarda e del Cristianesimo. L’uomo antico, creatura fondamentalmente sociale, si definisce in rapporto alla collettività, attraverso ciò che gli altri conoscono di lui, il suo nome, ilsuo statuto e il suo posto nella società, e il volto che lo identifica.

Quanto al modo in cui i Greci si sono rappresentati la loro interiorità, la presenza in essi dello spirito -il nous, il flusso del pensiero, le emozioni, le passioni, i desideri, le decisioni, il giudizio, ciò che ci sembra comporre il soggetto individuale, dipendono da un sistema di rappresentazioni differente dal nostro.

Due tratti caratterizzano la concezione greca di ciò che noi chiamiamo ‘soggetto’ o ‘io’.

Da una parte, non c’è soluzione di continuità fra fisico e mentale: i pensieri trovano posto negli organi interni e ne sono indissociabili. La parola che designa i pensieri e i sentimenti phrenes’ si riferisce innanzi tutto agli organi interni, più precisamente al diaframma. Le emozioni e le passioni scaturiscono da moti fisici, aneliti e fluidi invi sibili che percorrono ilcorpo, agitando le viscere.

 

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