La incompresa ‘incomprensibilità’ di Karl Jaspers

di Arnaldo Ballerini
«atque», 22, 2000, pp. 7-18

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Karl Jaspers è lo studioso che ha fondato la psicopatologia fenomenologica (il suo testo principe, la Psicopatologia generale, è del 1913 e via via rielaborato e riedito fino al 1959) sottraendo la psichiatria al mito positivistico di una sua esaustiva risoluzione nell’ambito della patologia cerebrale e ad una sua totale sudditanza alle scienze neuropatologiche, aprendo così la strada per un approccio più propriamente antropologico nello studio delle malattie mentali: “Il fatto che le malattie mentali siano fondamentalmente umane ci obbliga a non vederle come un fenomeno naturale generale, ma come un fenomeno specificamente umano”.

Per un singolare destino Jaspers, proprio per aver posto la soggettività del malato al centro della psicopatologia, fu accusato, dal punto di vista di una scienza oggettivante l’uomo, di “nichilismo”; mentre per ilsuo sforzo di definire le esperienze psicotiche mediante il criterio della “incomprensibilità” (formale, si badi, non perché schegge tematiche senza senso; non perché non delineano una parti colare visione del mondo) ha ricevuto in epoca di anti-psichiatria l’accusa di “razzismo”. Verrebbe voglia di mettere assieme le due contrastanti critiche e mandarle a spasso assieme, come il Manzoni pensava di fare di obiezioni opposte rivolte al suo modo di procedere nella scrittura dei Promessi sposi.

Quella di Jaspers, al di là dei dati messi in luce, è stata essenzial mente una lezione metodologica.

 

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