La categoria jaspersiana della ‘incomprensibilità’ tra dimensione individuale e dimensione sociale

di Antonella Di Ceglie
«atque», 22, 2000, pp. 29-42

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  1. Le frontiere della incomprensibilità jaspersiana

Dal tempo della sua fondazione come scienza, e dunque dalla sua liberazione dalla demonologia, la psichiatria si è sempre confrontata con la categoria stupefacente della diversità. L’ottimismo positivista del XIX secolo, se da una parte ha rimosso ogni residuo di soprannaturale dall’evento psicopatologico, dall’altra ha riconosciuto nel mito del cervello malato l’origine fondante di modalità aliene di esistenza estranee al concetto di normalità. Il riconoscimento della devianza psichica come evento di natura ha prodotto una crescente semeiotica dell’alienità volta ad individuare con chiarezza ciò che si pone come ineluttabilmente diverso e, per definizione, anormale. Karl Jaspers si accosta allo studio della malattia mentale quando il mondo psichiatrico è ancora dominato dall’assunto paradigmatico di Griesinger per il quale la causa della malattia mentale è da ricondurre, in ultima istanza, al sistema nervoso, ad una lesione cerebrale, ancorché non sempre sia possibile svelarne l’esistenza. Si tratta di una psichiatria nella quale la soggettività del paziente non riveste alcun interesse psi­copatologico e dove tutta l’attenzione del medico è rivolta non sul malato, ma sulla malattia, sui sintomi e sulla loro descrizione. L’idea che la storia personale del paziente, il suo mondo, la sua interiorità – oltre che il contesto nel quale si realizza l’osservazione -possano avere un peso nella costituzione e nella espressione del disturbo psichico trova posto, nella migliore delle ipotesi, quale semplice epifenomeno.

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