Paura dell’al-di-là o angoscia del quasi niente?

di Enrica Lisciani-Petrini
«atque», 23-24, 2001, pp. 13-16

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Se c’è un autore che si è occupato con una meditazione inesausta e martellante del problema della morte, questo è senz’altro Jankélévitch. Ma – significativamente -in un libro di oltre cinquecento pa gine dedicato a La mort, riserva uno smilzo paragrafo, quello qui tradotto, e giusto sul finire del libro stesso al tema della paura di fronte a tale evento. Significativamente, dicevamo. Perché a quello che da sempre viene considerato l’atteggiamento normale e persino “morale” dell’uomo di fronte alla morte – la paura appunto -Jankélévitch non solo non ascrive nessuna o comunque un’importanza del tutto irrilevante, ma soprattutto attribuisce un significato di pura copertura di ben altro. Ed è intorno a questo ‘altro’, invece, che egli fa insi stentemente ruotare la propria riflessione -nella complessità dei per corsi tracciati nel libro e che ovviamente vanno tenuti sullo sfondo di questo paragrafo – disfacendo ad una ad una, quasi lavorando di fioretto, tutte le mistificazioni che la paura, con una paradossale forma, di rassicurazione per dir così rovesciata, copre.

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