Paura della morte e anoressia. Mistica del digiuno tra Caterina Benincasa e Simone Weil

di Ines Testoni
«atque», 23-24, 2001, pp. 59-72

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Uno dei destini fondamentali del corpo è la vita, l’altro è la sua morte. Tra le due certezze oscilla la paura, emozione che si radica nel terreno del più abissale sentimento -l’angoscia di morte – su cui si edificano sistemi di conoscenza atti ad affrontare l’antico ed eccellente problema dell’uomo, quello del senso da attribuire all’esistenza e a ciò che la segue. L’angoscia, morsa entro cui il pensiero soffoca e l’azione implode, si rende visibile allo sguardo quando l’esistenza sia considerata in relazione alla morte. La paura è il sentimento da cui trapela la siderea oscurità da cui nasce il bisogno dell’uomo di definire le cause della sofferenza e le strategie per prevenirle o curarle. Qui si indaga il rapporto tra la paura della morte e una delle tecniche atte a ridurre il dolore che essa segnala: il sacrificio mistico esercitato con il digiuno, che a volte assume i tratti parossistici dell’anoressia. Questo tema, similmente a quanto accade in molte psicopatologie, mette in risalto una caratteristica di fondo, quella relativa all’inscindibilità del legame tra sofferenza e cultura. Infatti accanto alla ricerca più squisitamente clinica si è sviluppata una folta congerie di indagini che ha studiato ilproblema guardando all’anoressia come a una “sindrome culturale”, definizione che ci legittima a esplorare le relazionitra risolute digiunatrici del presente e del passato.

La volontà di patire la fame in Occidente ha sempre suscitato grande interesse, poiché idigiunatori manifestano il coraggio di sfida re la vita, non ascoltando gli strepiti del corpo che si ribella a tale scelta.

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