Il valore cognitivo delle emozioni

di Aldo G. Gargani
«atque», 25-26, 2002, pp. 25-34

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1. Nella tradizione filosofica occidentale le emozioni e gli affetti sono stati trattati in maniera subordinata. Il secondo libro della Retorica di Aristotele è un’analisi del flusso delle emozioni e delle passioni ma in posizione marginale, come entità di terza classe rispetto alla conoscenza e alla volontà. Non veniva riconosciuta una diffusività delle emozioni nell’àmbito del pensiero come invece veniva attribuita alla volontà. Ad esempio S. Agostino nel De civitate Dei dichiara che «la volontà è in tutti i moti dell’animo, anzi tutti i moti dell’animo non so no altro che volontà». In quella tradizione le emozioni vengono celebrate nella misura in cui sono espressioni di uno stato o condizione morale vicini o aderenti alla razionalità, per esempio Kant celebra nella Critica della Ragion Pratica, «Moventi della ragion pura pratica», il dovere definito «nome sublime e grande» e al tempo stesso de finisce le emozioni «malattie dell’anima». Le emozioni vengono relegate ad un ambito non cognitivo dove vengono a costituire la matrice dell’appagamento o del soddisfacimento affettivo e, non a caso, delle valutazioni estetiche considerate come sprovviste di valenza conoscitiva. Le cose mutano fra la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX in cui affiorano le più diverse tendenze.

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