Empatia e comprensione

di Carlo Sini
«atque», 25-26, 2002, pp. 73-80

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Il termine empatia è sovente usato per indicare il possesso di personali doti “psicologiche”: ci sono persone che si considerano particolarmente dotate di empatia e non di rado ne danno dimostrazioni empiriche e pratiche di una certa evidenza. Così intesa la nozione si dilata notevolmente: dalle capacità “sensitive” di individui in ogni senso inconsueti, all’uso professionale di tale nozione, per esempio in vari rami ben noti della psicologia o nella teoria estetica (a partire da gli studi di R Vischer, Th. Lipps e H.S. Langfeld).

Non è però mai esaurientemente chiarito a cosa propriamente ci riferiamo quando parliamo di empatia. A mio avviso l’inconveniente nasce dalla presupposta convinzione che l’empatia debba essere un fenomeno con le seguenti caratteristiche prevalenti: irrazionale o sovrarazionale, affettivo piuttosto che intellettuale, preconoscitivo piuttosto che conoscitivo, più pratico che teorico, individuale piuttosto che intersoggettivo e simili. Convinzioni che paiono a me dei pregiu dizi, il cui esito contribuisce più a confondere le acque che non a chiarirle; per esempio a innescare discussioni più aggressive o difensive, in ogni caso “militanti”, che non volte a raggiungere una reale intesa.

Propongo invece di considerare l’empatia sotto il profilo di ciò che in generale chiamiamo “comprensione”, parola che anzitutto de signa il “prendere insieme”, l’assimilare o l’assimilarsi.

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