L’analista, l’empatia e l’inconscio

di Luigi Aversa
«atque», 25-26, 2002, pp. 117-126

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1. Il potere dell’analista

Carl Gustav Jung, parlando del complesso e articolato processo dell’esperienza analitica, ha usato alcune metafore di grande pregnanza simbolica per cercare di illustrarne gli aspetti più profondi e oscuri; per descrivere quel sottile gioco di proiezioni reciproche che vanno tecnicamente sotto i nomi di ‘transfert’ e ‘controtransfert’ e per spiegarne l’utilizzazione in senso trasformativo ha usato come metafora l'”alchimia”, quell’antica scienza precorritrice della chimica che aveva per fine la padronanza delle leggi “sottili” della natura e che dava il “potere”, a chi possedeva quest’arte, di trasformare i “vili metalli” in “oro”, non si sa -ed è sempre stato oggetto di discussione tra gli studiosi di scienze esoteriche -se in senso metaforico o in senso reale.

Soprattutto dallo junghismo zurighese, la metafora alchemica che Jung ha impiegato a proposito del processo analitico, è stata purtroppo usata troppo spesso, per cui si è finito con inflazionarne il significato più profondo. Il senso di un tale concetto che pure conserva una sua valenza efficace dal punto di vista esistenziale e soprattutto da quello terapeutico – come molti colleghi hanno scritto e riscritto ri petendo a volte le stesse cose sino ad una totale banalizzazione -non è tanto quello della “trasformazione” quanto quello del “potere operare una trasformazione” da parte dell’alchimista in quanto è colui che conosce le leggi “sottili” della natura.

L’analista, dunque, al pari dell’alchimista, è nella metafora usata ìa Jung, depositario e portatore d’un “potere”.

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