I territori selvaggi e proibiti della soggettività dell’analista

di Stefano Fissi
«atque», 25-26, 2002, pp. 171-198

Scarica intero Articolo

La via è come la si percorre.

Il Talmud

Il paradosso dello schermo opaco e della soggettività dell’analista

Nello stesso scritto in cui paga apertamente un debito a Jung, riconoscendogli il merito di aver posto l’accento sulla necessità dell’analisi didattica per emendare i residui nevrotici che come una “macchia cieca” affievolirebbero la percezione dell’analista, Freud conia a proposito di quest’ultimo un’altra celebre metafora, quella dell’essere opaco come una lastra di specchio, che rimanda al paziente soltanto ciò che gli viene mostrato . L’idea di Freud è che il processo analitico è localizzato primariamente nel paziente ed è soltanto facilitato dall’analista: perciò, il più importante contributo di quest’ultimo consiste nell’essere invisibile, o almeno nel non rivelarsi, onde non ostacolare né interferire il meno possibile con lo sviluppo che avviene nel paziente in modo autonomo. Se il terapeuta rimane sconosciuto e inaccessibile il processo transferale può svilupparsi ed essere motivato solo dalle resistenze del paziente, poiché la percezione dell’analista da parte di quest’ultimo è determinata solo dalle sue proiezioni, e prescinde dall’impatto immediato esercitato dalla sua presenza reale. L’idea che la personalità reale del terapeuta impronta di sé inequi vocabilmente lo scambio clinico disseminando una serie di indizi che stimolano le inferenze transferali del paziente, è una recente acquisizione della psicoanalisi, che ne ha radicalmente modificato il campo d’indagine, passando dalla psiche del paziente (psicologia monopersonale) a una mente duplice, il paziente, I’analista e la relazione tra i due (psicologia bipersonale).

Pubblicato in Articoli
Ricerca Fascicoli e Articoli
Tipo
Anno
Fascicolo