Prefazione

di Bruno Callieri
«atque», 1 n.s., 2006, pp. 11-17

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A Mario Trevi, la figura più significativa dello junghismo italiano, dobbiamo la profonda revisione critica del pensiero di Jung, del suo innatismo archetipale e di un certo suo sostanzialismo; ma soprattutto cogliamo sempre più la sua meditata e convincente attenzione a valorizzare l’individuazione (la Selbstwerdung ) di fronte alla mente neuronale e alla gruppalità emergente, e ci sentiamo presi a fondo dalla sua teoresi che focalizza la funzione simbolica come attività sintetizzatrice degli opposti.

Nei suoi più noti transiti di pensiero, dalla Interpretatio duplex alle Metafore del simbolo, dall’ombra alle situazioni limite, con la mirabile conseguenza nel delta critico da lui così opportunamente rivendicato, egli coglie costantemente la profonda storicità della psicologia come scienza di frontiera tra natura e cultura, tra discorso della psiche e discorso sulla psiche.

Il superamento del relativismo junghiano (altra lettura di Jung) cercato da Trevi, così come era stato delineato (con altro percorso) da Fordham e, con percorso più mitografico, da Hillman, ha proposto di elaborare quella che vorrei indicare come una psicologia diahgica con forte declinazione ermeneutica, aperta all’esercizio dell’autolimitazione ma attenta anche ai pericoli del relativismo, solo apparentemente tollerante.

Un altro passaggio fondamentale del pensiero di Trevi, come si legge in Adesione e distanza I e II, un passaggio critico e “luterano” è quello dell’attento riesame dei “tipi psicologici”, dove le configurazioni e  le metafore vengono assunte per un’analisi senza dogma e senza garanzia.

 

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