Il simbolo: orma del sacro

di Umberto Galimberti
«atque», 1 n.s., 2006, pp. 41-60

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A Mario Trevi, in occasione del suo ottantesimo compleanno,

dedico questo mio contributo sul simbolo,

oggetto delle sue incomparabili e radicali riflessioni.

E questo in segno di riconoscenza per il suo insegnamento

e la sua amicizia che da trent’anni accompagnano la mia vita.

 

1. Dall’inconscio al simbolo 

Come si potrebbe costringere la natura

ad abbandonare i suoi segreti

se non contrastandola vittoriosamente,

ossia mediante ciò che è innaturale?

Questa conoscenza la vedo impressa

nella terribile triade dei destini di Edipo:

lo stesso che scioglie l’enigma della natura

– della Sfinge dalla duplice natura –

deve anche violare,

come assassino del padre e marito della madre,

i più sacri ordinamenti naturali.

 

Non c’è sapere dell’inconscio perché ogni sapere appartiene all’ordine della ragione che può mettere in scena il suo discorso tran quillo solo quando la violenza è stata cacciata dalla scena, quando la parola è data alla soluzione del conflitto, non alla sua esplosione, alla sua minaccia.

La diversa lettura che Freud e Nietzsche danno del mito di Edipo dice questa differenza: Freud guarda il conflitto a partire dal la sua soluzione, Nietzsche dal fragore della sua esplosione. In gioco non sono solo due punti di vista diversamente dislocati, ma da un lato c’è il sapere prodotto dall’ordine della ragione che, emancipatasi dalla follia, può raccontarla come l’altro da sé (Freud), e dall’altro c’è la pratica della follia come cedimento dell’ordine della ragione e sua esposizione a ciò che ragione non è (Nietzsche).

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