Ecco, ora svaniscono i volti e i luoghi
con quella parte di noi che come poteva li amava.
Per rinnovarsi trasfigurati in un’altra trama.
T.S. Eliot
Non si può rendere conto della conoscenza psicologica di un soggetto se non partendo da alcuni punti, fondamentali, che non rappresentano i presupposti logici di qualsiasi discorso ma la condizione da cui si inizia a parlare. Il valore insostituibile del punto di vista soggettivo quale ineliminabile premessa di ogni possibile discorso, o, in senso ancor più radicale, della possibilità stessa della parola, è stata una delle grandi lezioni che ho appreso dalla persona e dal lavoro di Mario Trevi. Nei confronti della filosofia, sulla cui disciplina mi sono originariamente formata e con la quale ho intrattenuto sempre rapporti difficili e, a volte, contraddittori, l’incontro con Trevi ha suscitato in me la possibilità di valorizzare un atteggiamento di ricerca che, nella mia ingenua considerazione, ritenevo alternativo alla dimensione clinica e al mio lavoro “sul campo”: emozioni e pensiero prendono a volte strade divergenti. Uno dei frutti scaturiti dall’incontro con Trevi si è configurato proprio nel riconoscere, sempre più, nella “mia” originaria filosofia il sedimento che ha contribuito a formare un personale punto di vista sulla psiche e sul lavoro che svolgo come psicoterapeuta, tracciando un cammino verso l’approfondimento di quelle aree di contatto, ma anche di differenze, tra filosofia e psicologia del profondo. La filosofia fenomenologica, che ha rappresentato una delle correnti filosofiche più teoreticamente produttive nel secolo che è appena trascorso, se pure potrebbe in parte accusare il peso degli anni e risentire di un contesto culturale ormai in parte storiciz zato, rappresenta ancora, a mio avviso, un terreno vivo per articolare i nodi clinico-teorici che si offrono al lavoro psicoterapeutico, e ancora offre alla mia sensibilità materia di riflessione e di esperienza.