Un passato che non passa. Bachelard e la fine dell’abitare

di Stefano Catucci
«atque», 1 n.s., 2006, pp. 219-234

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Dobbiamo porci di fronte allo spaccato di un edificio

e fornirne una spiegazione:

il piano superiore è stato costruito nel XIX secolo,

il pianterreno è del XVI secolo e un esame più minuzioso della costruzione

mostra che essa è stata innalzata su una torre del II secolo. Nella cantina scopriamo fondazioni romane e sotto la cantina si trova una grotta colmata,

sul cui suolo si scoprono,

nello strato superiore utensili di selce,

negli stati più profondi resti di fauna glaciale.

Questa potrebbe essere, all’incirca,

la struttura della nostra anima.

G.Jung, Anima e terra (1927-1931)

 

 

È stato Gaston Bachelard a osservare come queste parole di Jung abbiano impresso un nuovo corso all’antichissimo paragone fra l’anima e la casa. Quest’ultima, dopo Jung, non sarebbe più semplice mente il termine di un rinvio allegorico, né solo una metafora o il polo di un’analogia. La casa, piuttosto, diventerebbe un modello di descrizione della psiche dall’efficacia direttamente proporzionale alla profondità prospettica del suo passato, ovvero al suo essere stata, nel tempo, analogia, metafora e allegoria. La casa, dunque, verrebbe assunta tra le forme della comprensione del sé precisamente in forza dell’antichità e della stratificazione storica del suo accostamento con l’anima.

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