Umorismo alla lettera

di Carlo Sini
«atque», 2 n.s., 2007, pp. 41-48

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L’umorismo, dice Vladimir Jankélévitch nelle sue ammirevoli notazioni, è indispensabile ai filosofi. Infatti, egli dice anche, «è l’intero pensiero che è rivestito di umorismo». L’umorismo è una forma di «metacoscienza». È un atto che si rivolge su di sé, che applica anzitutto a sé ciò che fa valere per gli altri. L’umorismo, potremmo aggiungere, caratterizza eminentemente la figura del soggetto proprio nel senso in cui Wittgenstein nel Tractatus scrive che «Il soggetto non appartiene al mondo, ma è un limite del mondo» (5.632); e poi significativamente aggiunge: «L’io filosofico non è l’uomo, non il corpo umano o l’anima umana della quale tratta la psicologia, ma il soggetto metafisico, il limite – non una parte – del mondo» (5.641). In questo senso si può allora dire che l’umorismo non oltrepassa la realtà del mondo per altre immaginarie realtà; piuttosto “orla” la realtà; e che neppure l’umorismo contesta il mondo (come a loro modo fanno lo spirito tragico o quello comico); anzi, lo accoglie senza peraltro giudicarlo. L’umorismo non applica al mondo criteri di verità, ma lascia al mondo il suo accadere, o lascia il mondo al suo accadere. Da questo punto di vista non direi che esso comporti un fondamentale scetticismo: così appare ai dogmatici, che ritengono di possedere la verità e combattono fiere quanto comiche battaglie contro ciò che essi chiamano “relativismo”, non accorgendosi quanto hanno appunto in tutti i sensi di relativo le loro pretese certezze, im mancabilmente mutevoli come tutte le “certezze”.

 

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