Perché nella scienza non si piange e non si ride?

di Antonello Sciacchitano
«atque», 2 n.s., 2007, pp. 105- 119

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Molti miei pazienti in trattamento psicanalitico

usano ridere per confermare

la riuscita dell’operazione

che riporta fedelmente

alla percezione cosciente

l’inconscio celato.

Ridono anche quando

il contenuto della scoperta

non lo giustificherebbe.

S. Freud, L’arguzia e i suoi rapporti con l’inconscio

 

 

 

Premessa

 

Come è noto, nelle rappresentazioni teatrali dell’antica Grecia prima si dava la trilogia tragica, poi si concludeva con la commedia. Prima si piangeva, poi si rideva. Oggi questa bella abitudine si è per sa. Sembra che il riso abbia perso le sue radici tragiche. O che si siano gracilizzate, essendo rimaste confinate in quella serra artificiale che è l’umorismo. “La settimana comincia male”, dice il condannato a morte, avviandosi al patibolo di lunedì. Quando il responsabile delle tue minitragedie quotidiane, il Super-Io, va in vacanza o ti diventa provvisoriamente meno nemico, puoi sorridere. Almeno, questa è la versione freudiana. Che a sua volta va giustificata o, per lo meno, inserita in un contesto antropologico di respiro più vasto. Vale la pena tentare.

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