Ironia e romanzo

di Giuseppe Di Giacomo
«atque», 2 n.s., 2007, pp. 133-152

Scarica intero Articolo

 

A partire dalle considerazioni di Friedrich Schlegel prima e di György Lukács poi si è venuta rafforzando l’idea che l’ironia sia un elemento necessario nella produzione dell’arte moderna, identifican dosi con quella riflessione (filosofia) che nella modernità, come ha messo in evidenza hegel nelle sue Lezioni di estetica, è strettamente connessa all’arte. Secondo hegel, infatti «l’arte è per noi qualcosa di passato […]. Noi abbiamo bisogno del pensiero»: se l’arte è qualco sa di passato lo è perché è superata dalla filosofia. Questo supera mento non significa però che l’arte è finita, ma che ha perduto il suo primato in quanto esperienza di verità: vale a dire ha perduto la prerogativa di presentare sensibilmente il contenuto spirituale. Ora, do po l’avvento della filosofia, non solo il nostro rapporto con l’arte non può che essere di tipo riflessivo, ma questa riflessività deve appartenere al fare stesso dell’arte e si manifesta nella consapevolezza appunto che l’arte sia qualcosa che appartiene al passato: è il «paradiso per sempre perduto» del quale parla Lukács nella sua Teoria del romanzo, vale a dire è quell’immanenza del senso nella vita che era rappresentata dall’epica e che rendeva assolute le parole e le rappresentazioni liberandole dalla presenza della riflessione. Più in generale si può dire che c’è ironia se la riflessione si dà come non esterna bensì interna all’esperienza della quale ricerca il senso. Solo una filosofia metafisica, che pretende di pensare l’esperienza standone al di fuori, può illudersi di cogliere il senso una volta per tutte; una filosofia critica invece sa che, proprio perché non si può uscire dall’esperienza, è solo nel sensibile che può essere colto, sentito, il senso, senso che per ciò stesso non può che darsi come qualcosa di sempre determinato.

 

Pubblicato in Articoli
Ricerca Fascicoli e Articoli
Tipo
Anno
Fascicolo