Alla presenza delle cose stesse. Saggio sull’attenzione fenomenologica

di Roberta De Monticelli
«atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 219-240

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C’è una frase molto bella che potremmo assumere a filo conduttore di questa riflessione: «guardare il mondo con occhi spalancati». Una frase che si trova nell’Introduzione alla filosofia di Edith Stein, e la scelta di questa autrice nel vasto corpus dei fenomenologi non è casuale, benché non di autori qui vogliamo parlare, ma delle cose stesse. Colui che guarda il mondo con occhi spalancati è il filosofo. Il filosofo è tutt’occhi, il filosofo è l’occhio spalancato, se prendiamo la frase alla lettera, ganz offenes Auge”; o forse, il filosofo è tutt’occhi, non è altro che sguardo. L’immagine giusta, qui, è piuttosto quella degli occhi sgranati del bambino che quella dello sguardo indagatore del detective o dello sguardo circospetto dell’uomo prudente, o perfino dello sguardo potenziato dalla lente del microscopio. Quello sguardo esprime meraviglia e candore, oltre che la gioia di scoperte ancora tutte nuove; l’atteggiamento che gli corrisponde è l’affidarsi fiducioso allo spettacolo del visibile, con l’abbandono contemplativo del tutto ignaro di fretta e di altri impegni, che l’adulto conosce solo in certi giorni comandati, quelli della vacanza, per quanto spesso non sa più che farsene. Certo, anche il filosofo cerca qualcosa, e il linguaggio che dice cosa pullula da sempre di metafore visive. Cerca ad esempio la “chiarezza”, e il suo è pur sempre un lavoro, benché più passivo che attivo, più paziente che edificante: il lavoro di “far chiarezza”, della Klärung. Il filosofo che guarda il mondo con gli occhi spalancati cerca di chiarire, di portare alla luce dell’evidenza ciò che vede e che forse non tutti vedono.

 

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