Naturalità e innaturalità delle psicoterapie

di Giovanni Jervis
«atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 11-20

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«L’analisi – dice Freud – con la propria pretesa di curare le nevrosi assicurando il controllo delle pulsioni, ha sempre ragione in teoria, ma non sempre in pratica». Fra i fattori che intervengono a complicare le cose, egli cita, come è noto, in primo luogo la personalità dell’analista. Qui si inserisce la frase famosa: «è incontestabile che gli analisti non sempre hanno raggiunto nella loro stessa personalità quel tanto di normalità psichica alla quale intendono educare i loro pazienti». Nelle stesse pagine Freud non trascura di fare riferimento, sia pure in modo sommario, a un problema parallelo e però diverso da quello dell’equilibrio di personalità, che è il problema delle motivazioni dell’analista stesso. (Naturalmente il termi ne “motivazione” è moderno, e fa parte della psicodinamica post freudiana, ma il concetto anticipato da Freud è esprimibile con questa parola.)

L’analista, ci fa capire Freud, e proprio a proposito di motivazioni, porta in analisi i suoi problemi, e questi problemi sono difficilmente separabili dalle sue richieste, o pretese. A proposito dunque delle pretese, o esigenze, espresse dall’analista nell’analisi (qui Freud usa la parola Forderungen, resa purtroppo nella traduzione canonica italiana non già come esigenze, o pretese, ma come prescri zioni dell’analisi), il grande viennese si fa forte dei dubbi di un letterato scettico, Anatole France, per cui avanza l’ipotesi che molti analisti cadano un po’ troppo facilmente in un particolare errore. E ci cadono, suggerisce Freud, soprattutto coloro che «restano quello che sono e riescono a sottrarsi all’influsso critico e correttivo dell’a nalisi».

 

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