L’analizzabilità del candidato-analista nel terzo millennio. Una professione in via di estinzione?

di Gianfranco D’Ingegno
«atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 235-248

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Negli anni del pluralismo in psicologia clinica, della libera com mercializzazione, il prodotto “psicoterapia” è divenuto a tutti gli effetti un prodotto di mercato regolato da meccanismi pubblicitari. Il paziente sta divenendo sempre più un cliente, non nel senso indicato dalla psicologia umanistica rogersiana, ma nel senso di essere divenuto terreno di conquista per l’esercito degli psicoterapeuti. Non so lo, ma negli ultimi anni si è addirittura assistito ad un aumento vertiginoso di pratiche d’ascolto che, pur non definendosi terapeutiche, difficilmente possono evitare sconfinamenti in altri territori, come nel caso del cosiddetto counseling filosofico, che nel sito web della Società italiana di counseling filosofico così si definisce:

 

una relazione d’aiuto in cui vengono facilitati e stimolati, attraverso strumenti filosofici, processi decisionali e chiarificatori in grado di risolvere e rispondere a specifiche domande dell’esistenza. Il counselor filosofico è perciò una sorta di facilitatore (…). Non quindi una filosofia fine a se stessa, che si risolve nella pratica astratta e lontana dalla realtà (…). L’area di intervento com prende tutte quelle situazioni definibili come non patologiche. Quindi: problemi esistenziali e crisi di valori; problemi decisionali, religiosi, etici e morali; esigenze intellettuali di ricerca e conoscenza.

 

Mi dilungo un po’ su queste nuove frontiere delle pratiche d’ascolto, perché a me pare che vi siano notevolizone di sovrapposizione con le psicoterapie; anche perché la domanda d’aiuto dei pazienti raramente è chiara, e nei loro racconti non sempre è riconoscibile una franca sintomatologia.

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