Il sogno e la po(i)etica in Paul Valéry

di Atsuo Morimoto
«atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 183-197

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Introduzione

 

Il sogno è una delle nozioni chiave della po(i)etica di Valéry. Per comprendere ciò, è necessario in primo luogo precisare che l’i dea valeriana di poïétique fu concepita per rinnovare radicalmente quella che era la nozione per così dire tradizionale di poetica, mettendo piuttosto in rilievo il momento della composizione o, in un senso ancora più generale, quello dell’atto che risiederebbe nella creazione della poesia.

Valéry, come è noto, enunciò non senza esitazione quest’idea nel 1937, in occasione della lezione inaugurale del corso di Poetica al Collège de France, fornendo alla sua teoria un argomento etimologi co: il verbo greco poïein significa infatti fare, e nello slittamento da poetica a poietica, dunque, ciò che Valéry intende esprimere «c’est enfin la notion toute simple de faire». La poietica sarebbe in tal senso una poetica in certa misura intellettualizzata, o volontaristica, nella quale nessun posto sembrerebbe restare per cose vaghe come lo può essere il sogno.

A ben guardare, però, nel momento in cui, nella medesima lezione, Valéry osserva che «nous n’avons aucun moyen d’atteindre exacte ment en nous ce que nous souhaitons en obtenir», Valéry si mette di fronte a una specie di sentimento di impotenza che il poeta può provare nel momento in cui compone mettendo mano alla sfera interio re del proprio essere.

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