Lev Manovich nel suo celebre The Language of New Media traccia una suggestiva genealogia dello schermo quale interfaccia che consente un’arte della comunicazione. Manovich collega strettamen- te i concetti di interfaccia e di schermo: «La realtà virtuale, la tele- presenza e l’interattività – scriveva una decina di anni fa – sono con- sentite dalla recente tecnologia del computer digitale. Ma diventano reali grazie a una tecnologia molto più antica: lo schermo».
La successiva evoluzione tecnologica e l’attuale realtà commer ciale sanciscono il successo della forma-schermo, al punto che la no vità recente e diffusa consiste nell’evoluzione del rapporto di media zione con lo schermo, cioè nella relazione fisica stabilita dal toccare lo-schermo. Credo però che questo livello sia soltanto un punto di partenza, sia per il pensiero sia per le prassi future, e che sia quindi il caso di problematizzarlo.
Si tratta di pensare il rapporto tra “il toccare” e “l’immagine”: ciò che si tocca è un’immagine, la quale a sua volta è il risultato di un processo di digitalizzazione. Siamo ancora di fronte a una forma de bole di virtualità, ma che già consente di impostare alcune questioni. Per quanto riguarda il concetto di schermo, ricordo soltanto che Manovich sviluppa un’idea che si trova in molti autori, secondo cui le trasformazioni tecnologiche incidono le nostre capacità percettive, le possibilità stesse del sentire, prima delle nostre idee e modi di pensare, e modificano tali capacità primariamente a livello inconscio: quell’in conscio “ottico” di cui parlava Walter benjamin è insieme acustico