Tutto quello che possiamo sapere a livello empirico è che i processi del corpo e quelli della mente e dello spirito avvengono parallelamente, in un modo che per noi è misterioso. Purtroppo la nostra mente è così limitata da non poter considerare corpo e mente come un’unica entità; probabilmente sono una cosa sola, ma noi non siamo in grado di pensarlo.
C.G. Jung2
nella convinzione che ogni ricercatore della psicologia del pro fondo debba proporsi egli stesso come oggetto di ricerca, penso pos sa essere utile a me, come piccolo sforzo di scrittura, e a chi legge, come possibilità di trovare nuove analogie e nuove metafore, riflette re insieme sulla esigenza di comprendere l’enigma dei contatti che intercorrono tra corpo e mente.
Tenterò, in questa prospettiva, nelle riflessioni che seguono, una descrizione in prima persona3 del mio vissuto corporeo legato alla pratica del Tai Ji quan, una delle discipline psicofisiche più complete dell’antica Cina. Sintesi tra arte marziale, metodo terapeutico e via della trascendenza, la pratica del Tai Ji quan è stata mantenuta segreta per molti secoli. Poiché è considerata una meditazione in movimento, prenderò come oggetto di attenzione e consapevolezza solo una parte del mio corpo, la mano, che, in analogia con il respiro, è l’oggetto di consapevolezza più comune nelle pratiche meditative