‘Atque’ e atque

di Alessandro Barchiesi
«atque», 1, 1990, pp. 129-130

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Prima di diventare, sullo scorcio del secondo millennio, titolo di una rivista, la congiunzione latina atque trascorreva una tranquilla e proficua esistenza nei lessici e sul fondo delle grammatiche. Ad abbreviare il suo servizio attivo – atque non si è continuata nelle lingue romanze, e il privilegio è toccato alla sua rivale et – cooperarono diversi fattori. Doveva essere, soprattutto, una paroletta poco pratica, perché ingombrante (le particelle coordinative tendono, per comprensibili motivi, a essere mo nosillabiche), perché legata a problemi di selezione (nel buon uso latino, si preferisce davanti a consonante laforma alternativa ac), e anche perché troppo ricca di sfumature, come si dirà fra poco. Per quest’ultimo moti vo, va anche detto, atque continua ad avere i suoi estimatori esiste in fatti, come è noto, una poeticità delle grammatiche e un’estetica delle congiunziòni. Il merito di atque (agli occhi benevoli dei suoi sostenitori) starebbe insomma in un certo eccesso di sfumatura e di intonazione, così insolito in una congiunzione copulativa che dovrebbe invece tendere a una funzionalità astratta, intercambiabile, e alla massima facilità d’uso. Atque è una congiunzione che (già dalla sua forma sonora) attira un po’ di attenzione su se stessa, più di quanto faccia et, più di quanto è normale attendersi da un anonimo operatore sintattico.

Questa anomalia sembra ricollegarsi all’incertezza sulle origini. Se­ condo alcuni, l’etimologia di atque va spiegata come unione di -que (particella enclitica che serve a coordinare strettamente) con at, una blanda avversativa che si rende con ‘ma’ o ‘d’altra parte’.

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