Complessità e autoorganizzazione nella percezione

di Riccardo Luccio
«atque», 4, 1991, pp. 91-108

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Il tema che intendo affrontare in questo lavoro è quello dei livelli a cui operano i processi percettivi. Si tratta di un tema centrale nella ricerca sui rapporti tra percezione e processi cognitivi in genere, e le domande a cui ha dato origine hanno ricevuto risposte molto diverse, a seconda dei riferimenti concettuali degli autori che se ne sono occupati. Disgraziatamente, molto spesso la scarsa definizione di termini utilizzati in contesti diversi con differenti significati ha anche portato a introdurre nel campo un bel po’ di rumore. Questa nota vorrebbe essere allora anche un modesto contributo a una chiarificazione del campo; per usare un’espressione che diverrà più chiara in seguito, vorrebbe fungere da filtro per giungere almeno a un buon “abbozzo primario” del problema.

Inquesti ultimi anni, il punto di partenza delle mie ricerche in proposito è stato quello della pregnanza, concetto fondamentale della psicologia della gestalt *, e peraltro, come dirò meglio più avanti, frutto di infiniti fraintendimenti. Ora, peraltro, non si tratta più di riprendere il di scorso sulla pregnanza. Nelle precedenti ricerche, condotte in particolare con Gaetano Kanizsa, al cui insegnamento devo moltissimo, ho affermato, e credo di aver portato anche delle prove empiriche in materia, che la sostanziale fonte di fraintendimenti è stata laffermazione, enunciata ma non dimostrata, della tendenza verso la pregnanza. Se il mondo percettivo dimostra una tendenza evolutiva, questa piuttosto è verso la stabilità, che non significa necessariamente né “singolarità” né “bontà figurale”.

Il problema che in questo lavoro mi pongo si muove lungo la stessa linea di pensiero, di cui vuole costituire uno sviluppo.

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