Empatie radicali e distali

di Mauro La Forgia
«atque», 25-26, 2002, pp. 139-152

Scarica intero Articolo

 

Iniziamo con una definizione: «L’empatia è una modalità conoscitiva adatta specificamente alla percezione di configurazioni psicologiche complesse».

La definizione appare in Narcisismo e analisi del sé, e cioè in quel testo a cui Heinz Kohut affida una prima sistematica trattazione delle novità da lui apportate alla teoria della tecnica psicoanalitica. Vale la pena di riconsiderarla, a trent’anni di distanza dalla sua formulazione, perché due locuzioni che vi compaiono -e cioè la locuzione «modalità conoscitiva» e il riferimento a «configurazioni psicologiche complesse» – tendono indubbiamente a esprimere una prospettiva epistemologica che faticheremmo ad associare ad alcune, correnti, utilizzazioni cliniche dell’empatia. Taluni esiti intuizionistici della psicologia del sé hanno in effetti trasformato l’empatia in qualcosa di simile a una condizione non discriminativa e vagamente compiacente di adesione alla condizione mentale dell’altro, e viene di fatto trascurato il compito di tentare un’indagine più rigorosa e accurata delle condizioni che realizzano una mente empatica.

Non a caso quest’esito si esprime – per esempio in teorici come Robert Stolorow, ma il discorso potrebbe essere esteso alla gran parte di quegli autori contemporanei che dichiarano di ispirarsi alla psicologia del sé -nella forma di una attenzione privilegiata agli aspetti inter soggettivi del setting in una prospettiva che tende a trascendere le singole soggettività in gioco e, quindi, a trasformare radicalmente, a volte con indesiderabili esiti metafisici, il tema della conoscibilità di ciò che avviene in terapia.

 

Pubblicato in Articoli
Ricerca Fascicoli e Articoli
Tipo
Anno
Fascicolo