Gradi del disegno. Per una poetica del sogno in Paul Valéry

di Masanori Tsukamoto
«atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 161-182

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Valéry rifiuta categoricamente di assimilare il sogno alla poesia. Basta dare uno sguardo alle note che, a proposito del sogno, ha scritto nei Cahiers e l’evidenza di questo rifiuto balza subito agli oc chi. Per esempio: «La confusion Rêve-Poésie est chose récente — Origine romantique —». E tuttavia, soprattutto a partire dagli anni Dieci, Valéry prende a sfumare questo punto di vista e a mescolare al suo generale disprezzo per la confusione fra sogno e poesia un’affermazione che a esso si oppone: «Rêve encore —/ Il y a positive ment une fonction formative — une fonction dont le résultat est scènes, choses, images, drames…»; «J’admettrai — qu’il existe une Vis formativa — une attitude formative d’images — d’ailleurs le rêve y contraint».  È certo che quando riapre il laboratorio poetico con La Jeune Parque, qualcosa è cambiato in questo scrittore intellettualista, e l’ha spinto a rivalutare il sogno in quanto forza formati va, uno degli elementi essenziali della sua poetica. Come si concilia il suo rifiuto ostinato rispetto all’assimilazione di sogno e poesia con questa rivalutazione del fenomeno onirico in quanto chiave che libera le forze formative delle attività di creazione?

Le sue riflessioni e la sua pratica del disegno ci sembrano offrire un terreno particolarmente interessante per riflettere su questi rapporti inestricabili tra il sogno e le attività di creazione. Nella maggior parte dei casi, Valéry considera il disegno come un’attività che esige «l’état le plus éveillé». Tuttavia quest’affermazione non è valida che quando si tratta del «dessin d’après un objet». 

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