Identità

di Giovanni Jervis
«atque», 11, 1995, pp. 45-52

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Vorrei in queste righe limitarmi a esporre, in modo schematico, quali mi sembrano essere i contorni generali del tema psicologico dell’identità. L’argomento meriterebbe peraltro di essere trattato nei suoi aspetti più complessi e problematici, ma per fare questo ho l’impressione che occorrerebbe saltare subito dal livello d’impegno di un breve articolo alle dimensioni di un volume, e neanche così smilzo. Per alcuni anni dedicai al tema una fetta dei miei corsi e seminari universitari: ne è anche uscito un libro, Presenza e Identità (Garzanti, Milano, 1983), certamente non esauriente e che ora riscriverei, penso, in modo già un po’ diverso.

Nel linguaggio comune e nella sua definizione più accettabile, l’identità è tema sia sociologico (e psico-sociale) sia anche -ma senza transizione netta -psicologico in senso stretto e psicodinamico.

Da un lato, infatti, l’identità è ciò che ci definisce socialmente come singoli individui, differenziandoci, caso per caso, da qualsiasi altra persona. L’identità è, insomma, la descrizione della nostra riconoscibilità. E vale la pena di ricordare che siamo riconoscibili, ciascuno di noi, per: a) le nostre caratteristiche anagrafiche di base: sesso, età, stato civile, nazionalità; b) la nostra collocazione sociale: censo, pro fessione, livello educativo, tipo e livello dello stile di vita, ecc.; c) le nostre caratteristiche fisiche: fisionomia, colore degli occhi, ecc.; c) le nostre caratteristiche di personalità; d) il nostro nome e cognome. Il documento tascabile di identità è ciò che certifica la principale e più rigida corrispondenza fra questi parametri: la correlazione, cioè, fra laspetto fisico e il nome.

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