Il giro della parola. Da Heidegger a Lacan

di Pier Aldo Rovatti
«atque», 6, 1992, pp. 71-80

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In una recente discussione a proposito di Lacan e Heidegger, o meglio di Lacan con ljeidegger, Gerard Granel ha parlato di “fraternità” tra scritture. E noto e ampiamente documentato (cfr. le ricostruzioni di Elisabeth Roudinesco) l’interesse di Lacan per Heidegger; altrettanto risaputo è il sospetto di Heidegger per questo “psichiatra” che gli invia due volumi di “scritti” baroccheggianti e che forse lui stesso avrebbe bisogno dello psichiatra. Fatto sta che i loro pochi incontri avvengono nel registro di un silenzio più imbarazzato che pieno di promesse. Qualcosa come una collisione: come di due tempeste che si affrontano, secondo l’immagine di Granel, che vuole così suggerirci che, se di una consonanza si tratta, essa va trovata dentro un turbinio oppositivo. Il “dire” di Lacan e il “dire” di Heidegger sono dei direjreres (come già aveva proposto Henri Cretella), ma quanto meno la loro fratellanza è tempestosa. 

Per uscire dalla suggestione dell’immagine e dare a questa amicizia, che parla ilsilenzio della tempesta, una qualche articolazione simbolica, avanzerei la seguente ipotesi: l’orizzonte comune è circoscritto dall’espressione “gioco di linguaggio” (che naturalmente ci ricorda anche Wittgenstein) ed il turbine, per così dire, è localizzabile nella parola “gioco”. Ci sono due fratelli che giocano con il linguaggio, però ciascuno di loro gioca a modo suo: ha un’idea diversa di cosa sia un “gioco”. Anticipando la conclusione: per uno di loro, cioè per Heidegger, il gioco del linguaggio è una faccenda molto seria; per l’altro, Lacan, il gioco del linguaggio non può che restare un gioco, nel quale facciamo delle finte e dal quale siamo ogni volta giocati.

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