Il mito della doppia trasduzione

di Daniel C. Dennett
«atque», 16, 1997, pp. 11-26

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Vi ricordate di Woodstock? Ora so come doveva sentirsi un poliziotto a Woodstock. Anche a Woodstock ci saranno stati buoni e cattivi poliziotti e mi sarebbe piaciuto essere un buon poliziotto, uno di quelli che andavano in giro dicendo «fumate pure ciò che vi pare e divertitevi senza dar fastidio a nessuno; fra un po’ sarà tutto passato. Possono volerci vent’anni, ma andate e lasciate che sboccino fiori dal deserto». Sono lieto che questo convegno abbia luogo perché rappresenta una grande opportunità di esporre alla luce abbagliante del deserto un’ampia varietà di idee, la maggior parte delle quali si dimo streranno sbagliate. Ma è giusto che sia così: è questo il modo in cui riusciamo a fare progressi nel campo di cui ci occupiamo. Il mio personale punto di vista, come ha suggerito David Charmers nella sua introduzione, è scettico. Ciò è singolare: per tutta la mia giovinezza mi sono sempre ritenuto una specie di radicale, ma adesso mi accorgo di essere in realtà un conservatore. Io dico che non abbiamo bisogno di nessuna rivoluzione scientifica. Abbiamo a disposizione tutto ilmateriale che ci serve nella scienza ordinaria. La stessa scienza che può spiegare l’immunità, il metabolismo e il vulcanismo può spiegare la coscienza. Ciò che io vedo è ciò che potremmo chia mare iltravaglio di una rivoluzione prematura.

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