Il presente come soap-opera

di Roberto Finelli
«atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 99-112

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La cattiva infini

 

Le società che hanno la sventura di esercitare uno scarso o stentato senso della storia compensano in genere tale mancanza di senso con la moltiplicazione e l’ipertrofia di narrazioni, in cui alla serie causale degli eventi, secondo la scansione del tempo, si sostituisce la giustapposizione del fantasticare e dell’associare soggettivo. All’autorevolezza della storia come magistra vitae, all’oggettività del passato, subentra l’attitudine antioggettivistica del revisionismo storico, secondo la quale il passato è un deposito caotico di eventi che possono essere ordinati e ricostruiti a piacimento dal visitatore-interprete. Sono le società in cui, per dirla con Michaelstedter, la persuasione e la passione della verità cede all’artificio e alla retorica.

Di tale disponibilità alla narrazione manipolatrice, alla rimozione dei nessi di causalità, all’abbandono dei criteri più elementari di verosimiglianza, il genere televisivo delle soap-opera rappresenta una delle espressioni tanto più radicali quanto più diffuse e popolari. Nelle soap-opera la finzione si sovrappone talmente alla realtà che le relazioni affettive si stringono e si rompono per un nonnulla: come accade in un celebre serial americano, “Beautiful”, dove una protagonista si accoppia, si sposa, genera figli con un uomo, e poi con il padre di lui e poi con il fratello di lui e poi con altri uomini, in un intreccio senza fine. Dove avviene che facce diverse, attori diversi debano alternarsi nel tempo nell’interpretazione di un medesimo per sonaggio, dato che la durata del serial va al di là delle disponibilità di vita e di lavoro di un singolo attore.

 

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