Il rapporto Freud-Mach: una prima ricognizione

di Mauro La Forgia
«atque», 6, 1992, pp. 107-130

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1.   Considerazioni preliminari 

Difficilmente si troverebbe un saggio storico su Freud che trascuri di citare, con fini specifici o con puro gusto notazionistico, quel passo della lettera a Fliess in cui Freud confida scherzosamente (ma non troppo!) all’amico il desiderio che un giorno potesse leggersi, in una lapide posta sulla pensione al Bellevue in cui soleva risiedere con la famiglia, che: “In questa casa, il 24 luglio 1895, al Dr. Sigm. Freud si rivelò il segreto del sogno”.

Citazione, come si diceva, usuale (e ormai anche un po’ consunta, cui non vengono però, in genere, aggiunte le righe successive, che presentano, invece, un rilievo non indifferente. “Tuttavia quando leggo” continua Freud “nei più recenti libri di psicologia (Mach, Analisi delle sensazioni, seconda edizione; Kroell, Aufbau der Seele e altri), tutti con indirizzo simile al mio, quel che essi sanno dire del sogno, mi ral legro come il nano della favola ‘perché la principessa non lo sa”‘. Per la verità, sfogliando, per esempio, le poche pagine di Mach relative al sogno nel testo citato (peraltro inserite in un contesto ri volto all’analisi dei rapporti tra attenzione e percezione del tempo, e quindi, almeno apparentemente, distante dagli interessi freudiani) si ha, invece, la sensazione che la principessa avesse intuito qualcosa se solo si considerano affermazioni come la seguente: “nel sogno possono acquistare un certo peso le tracce più fievoli di ciò che per la coscienza in uno stato di veglia è stato dimenticato”; o, ancora, “poi ché, nel sogno l’eccitabilità dei riflessi è assai accentuata mentre, a causa della lentezza delle associazioni, è molto indebolita la coscienza, colui che sogna è capace di quasi ogni delitto” .

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