Il silenzio del corpo e l’autismo. Dopo oltre cent’anni dalla Psicopatologia della vita quotidiana

di Maria Fiorina Meligrana e Roberto Manciocchi
«atque», 27-28, 2003, pp. 159-172

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Introduzione

Sono passati oltre cent’anni da quando Freud ha pubblicato “Psicopatologia della vita quotidiana”. Indubbiamente uno dei principali meriti che ancora oggi è possibile riconoscergli come pensatore è quello di aver modificato i confini del “patologico” e del “normale”, mettendo così in discussione l’idealistica immagine unitaria del soggetto autocosciente.

Certo, a partire dall’isteria molta strada è stata fatta passando per il conflitto, per il deficit, per le relazioni oggettuali, per le proposte accomodanti. Oggi appaiono ribaltati diversi problemi. Non si tratta più di rimanere scandalizzati dalla presenza di “forze” come la sessualità, le pulsioni, l’attaccamento, che agirebbero al di fuori della volontà e della libera scelta, né di rimanere attoniti di fronte a mani festazioni patologiche presto ridotte, nella loro unicità, dall’azione rapida ed efficace di svariati milligrammi di olanzapina; piuttosto si tratta di rimanere incuriositi dal modo nel quale si diventa coscienti di essere coscienti. Quello che desta stupore è il fatto che l’autocoscienza possa essere un “qualcosa che si sviluppa”, non tanto qualco sa che viene a mancare nell’istante del lapsus, ci si chiede, di fronte ai sorprendenti progressi degli studi neurologici: “come può prodursi qualcosa di così innaturale”?

A questo quadro di riferimento, dipinto a rapidi tratti, si è arriva ti passando per l’indagine pionieristica di generazioni di analisti che, ripercorrendo le orme di Freud, sono andati a rintracciare nell’eccesso manifesto della patologia tutte quelle forme del “casuale” patologico che di sfuggita” accompagnano la nostra vita quotidiana.

 

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