Il sonno e la coscienza (peripezie del sapere)

di Carlo Sini
«atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 41-46

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“Sogno o son desto?” si chiede un personaggio da commedia. La sua implicita alternativa è tra sogno e realtà. Ma cosa mai è sogno ovvero qual è la sua realtà? La domanda è antica. Tra i numerosi aspetti problematici che la accompagnano uno in particolare è assai inquietante. Si potrebbe esprimerlo così: chi sogna nel sogno? In che senso il sognatore ha la medesima coscienza o è ancora colui che, al risveglio, dice: “Ho sognato”? I sogni ci accadono: non possiamo modificarne a piacere i contenuti e nemmeno intervenire a dirigerli verso fini desiderati, perché appunto “noi” che sogniamo in realtà non ci siamo, non siamo presenti a noi stessi, ovvero non siamo propriamente coscienti di ciò che ci accade (non siamo auto-coscienti), sebbene sia anche innegabile che le immagini del sogno sono opera nostra: di chi se no? (Un tempo però si pensava che fossero opera degli Dei.) Ma “nostra” in che senso? In qualche “luogo” della coscienza quelle immagini devono pure essersi depositate, se poi, da svegli, ce le attribuiamo, essendo in particolare gli unici che ne pos sano parlare e che le possano ricordare. Certo, non saremmo oggi in clini a renderci “responsabili” di ciò che abbiamo sognato, anche se in atri tempi e in altre culture ciò era ritenuto plausibile. Dell’aver sognato questo o quest’altro potremmo sempre dire di “non averlo fatto apposta”, ma se il contenuto del sogno è particolarmente spiacevole perché urta con i nostri sentimenti e con la nostra coscienza morale, ne siamo anche innegabilmente turbati: faccende dell’incon scio, dice il senso comune, educato al lessico della psicoanalisi.

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