Come in ogni altro numero di «Atque», anche qui proviamo a esplorare territori non consueti, aperti, in questo caso, dalla proble maticità dell’essere–in-contatto.
L’ESPERIENZA DEL CONTATTO COME RELAZIONE. – una qualsiasi definizione di “contatto” lo riduce all’avvicinamento di corpi (anima ti o non, reale o immaginaria) o lo astrae nel termine di “relazione”.
Ma se, in effetti, la relazione è figurativamente e concettualmente la migliore rappresentazione con cui possiamo avvicinare il “contatto”, balza subito in evidenza come il curioso e paradossale concretismo “dell’essere-in-contatto” si dissolva d’incanto “nell’essere-in-re lazione”, nella misura in cui le due situazioni pur convergendo e al tempo stesso derivando da uno stesso fenomeno, ne danno anche versioni del tutto differenti.
All’immediatezza senso-percettiva del “contatto” che ne racconta l’illusione di una sorta di oggettività istantanea e conclusiva nella im penetrabilità dei corpi, si oppone la mediatezza riflessiva della “rela zione” che ne abbatte la datità, ne vìola l’identità spazio-temporale e, mostrandone la sostanziale ipoteticità, restituisce alla speculazione il compito della interrogazione su “ciò che effettivamente accade” e del senso di ciò che “non si vede”. Si tratta di storie differenti e im possibili da tenere assieme: è come guardare le foglie di un albero oppure il vuoto tra esse, ed è come affermare che le foglie producono dei vuoti o che ne sono (forse) definite.