Kant: la malattia mentale come patologia della coscienza

di Fabrizio Desideri
«atque», 20-21, 1999, pp. 23-40

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1. Basta avere ascoltato con un poco di attenzione la Regina della notte nel Flauto Magico di Mozart, in particolare la penultima scena, per comprendere quanto sia fragile il trionfo illuministico di Sarastro e dei suoi sacerdoti che suggella l’opera. L’ Ewige Nacht (Eterna Notte), la cui sinistra potenza è qui evocata nella cupa tonalità in re minore – la stessa del concerto n. 20 per pianoforte e orchestra (il fa mosissimo k. 466), la stessa del Requiem -inabissan dosi precipitosamente con Monostatos e le tre dame annuncia qui il suo ritorno. Se non nella forma di un principio antiteticamente simmetrico a quello razio nalistico della luce, la Regina della notte mozartiana è destinata a tornare come ombra, come quell’om bra che la ragione alberga in sé: come un altro intimo a se stessa. Gli anni del Flauto magico sono gli stessi della sordità di Goya. E nessuno saprà in que sto trapasso epocale trasformare in immagine più di Goya – come Jean Starobinski ci ha insegnato – la potenza dell’ombra sulla luce: quella potenza da cui scaturiscono mostri. A questi stessi mostri partoriti nel sonno/sogno della ragione – quelli che detteranno il ritmo espressivo ai dipinti della Quinta del Sordo – accenna Kant in una nota della Religione nei limiti della sola ragione.

 

 

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